La guerra e la pace
L’abolizione delle armi è il primo scopo di Noutopia.
Il pianeta è ricoperto da uno sterminato numero di armi, alimentate dalla violenza, prodotte e vendute per la guerra, ingiustificate ed oltraggiose per tutti coloro che si proclamano "portatori di civiltà e progresso".
Questa realtà è nello stesso tempo triste ed opprimente per l’insieme dell’umanità. Ed allora si può chiaramente capire come somme colossali, consacrate alla guerra o alla sua preparazione, possano annientare, invece che aiutare, la maggior parte degli sforzi fatti per sradicare la povertà e le peggiori malattie dell'intero pianeta.
Ma nessuno se ne rende conto e l’espressione “disarmo globale” non è neanche pronunciata.
Molti parlano di pace ad ogni occasione, ma nessuno si ferma a pensare che la stessa parola “pace” presume uno stato di continui conflitti. Non si può parlare di pace senza riferirsi a quella fra due guerre. Al di fuori di questo tipo di pace non c’è pace che tenga.
È questa la vera utopia.
Non può infatti esistere una vera pace, senza fine, su una terra coperta di armi.
Nessuno osa alzare un dito per invocare con forza il disarmo globale: nemmeno le più alte autorità del pianeta, le più importanti istituzioni internazionali, nemmeno le più influenti cariche religiose che avrebbero il dovere di condannare senza alcuna pietà tutti coloro che hanno a che fare con questi strumenti di morte. Nessuno che pronunci una sola parola a favore della abolizione delle armi, nucleari e non, pesanti e leggere, di terra di mare e di cielo.
Come se tutto ciò fosse un vero e proprio tabù, da non sfiorare e da non pronunciare.
Tutti noi abbiamo la più alta considerazione per le nostre forze armate, ne ammiriamo l’abnegazione, la disciplina, ne comprendiamo perfettamente lo spirito di sacrificio, anche perché alcuni dei soci fondatori di questa associazione hanno combattuto nella seconda guerra mondiale per la liberazione del nostro Paese, a cominciare dalla battaglia di Montelungo (8 Dicembre 1943) e finita in una inutile strage.
Il primo assalto a Montelungo
Si conosce perciò ogni piaga degli strazianti dolori che ne derivano: a cominciare dal riconoscere i volti devastati dei compagni caduti alle lacrime senza fine dei genitori e mogli e figli, alla loro solitudine senza più rimedio.
Il sacrario di Montelungo
Ecco perché si vorrebbe con tutto il cuore che queste morti fossero evitate, per sempre.
Sempre con le armi, sempre con la violenza, immemori delle sanguinose disfatte subite negli ultimi anni da eserciti perfettamente armati, da parte di una guerriglia tenace, nascosta e sanguinaria.
Che ci si voglia liberare dal terrorismo è comprensibile e indispensabile: esso minaccia tutto il mondo con attacchi improvvisi e con ordigni potentissimi.
Ma la violenza contro la violenza non può funzionare: non ha mai funzionato.
Ed allora non si capisce perché si persista ad inviare giovani vite in zone lontane e completamente sconosciute.
Prendiamo ad esempio l’Afghanistan, che nessuno può neanche descrivere a meno che non vi abbia vissuto per lungo tempo. Territori vastissimi, brulli e pieni di anfratti che soltanto chi vi è nato può conoscere.
Chi scrive queste pagine ha vissuto per oltre quaranta anni, per ragioni di studio, nel deserto più vasto e arido del mondo; sa quindi quanto sia difficile orientarsi, capitandovi per la prima volta, in una regione che è il contrario dei nostri continenti. Occorre abituarsi anche ai ritmi diversi: il ritmo del tempo e dello spazio. Ci si sente sperduti se non ci sono amici nati nel posto che ci aiutano e ci sorreggono.
I nostri giovani sono difesi da armi potenti di ogni tipo: carri armati, cannoncini, mitragliatrici leggere e pesanti, protetti anche dal cielo con elicotteri e aerei velocissimi e potenti, alcuni dei quali sono anche telecomandati.
Nonostante questa enorme differenza di armamenti la guerra continua, e continuerà, lunga e sanguinosa.
Obbligati a subire continuamente imboscate ed attacchi suicidi da parte di coloro che conoscono perfettamente la zona, palmo a palmo, e che si fanno scudo dei civili che muoiono a centinaia per i bombardamenti sbagliati, e le stragi provocate dai "kamikaze" che si fanno saltare in aria pieni di esplosivo in mezzo alla folla..
Il deserto: sconfinato e brullo, silenzioso e infido
Ed ogni tanto, anche oggi, rientrano le bare dei caduti, accolte da famiglie distrutte, che non capiscono i motivi di quelle morti, circondate da molto cordoglio e decorazione "alla memoria", da vibranti applausi all'uscita del feretro dalle chiese.
Ma le vite sono perdute.
Ma oggi qualcosa si muove: qualche coscienza emerge ed allora si sente dire da qualche importante autorità: «Togliamo il velo dell'ipocrisia…parlare di una situazione di pace è come nascondersi dietro un dito». E insieme concordano su questa linea, perché i nostri figli si possono trovare in condizioni in cui questa pace non deve essere soltanto mantenuta ma portata, perché pace non c'è.
Ed oggi sentiamo un alito di speranza nel leggere sulla stampa che anche le più alte autorità ritengono giusto dare il nome "guerra" a ciò che i nostri soldati stanno subendo in Afghanistan. Speranza perché anche questa parola sparisca insieme con la morte dei nostri figli.
Ma le guerre continueranno, per quell'arcaico condizionamento che le fa ritenere "necessarie e inevitabili" dal momento che non si è studiata profondamente la storia più remota del nostro genere.
Ed ecco quindi che tutta la documentazione, sacra e profana, narra di antiche guerre e fratricidi, ed altri crimini; gli stati si reggevano sulla guerra e sulle conquiste. Neanche coloro che più avevano a cuore la virtù, la saggezza, il giusto esercizio della sovranità furono esenti da questo modo di vedere le cose del mondo.
Ce lo ricorda Platone, con nascosta ironia (Repubblica, II, 373,XIV):
«…contentiamoci, Glaucone, di dire che abbiamo scoperto la genesi di quella “guerra” che per gli stati è la massima fonte di mali privati e pubblici, quando vi nascano. – Senza dubbio. – Occorre dunque, mio caro, uno stato ancora maggiore, e non ingrandito di poco, ma aumentato di un esercito intero che esca a battaglia contro gli assalitori per difendere tutto il patrimonio statale e le persone delle quali or ora parlavamo...»
E le guerre si inseguivano, una dopo l’altra, per tutto il tempo che rimase in vita l'impero romano. Esso si sgretolò sotto le invasioni che giungevano da ogni parte. Cadde in ginocchio e sparì in mille pezzi sempre in guerra fra di loro.
Ma quei secoli, che sembravano e furono considerati vuoti, erano nascostamente pieni di qualcosa che germogliava.
Fu il periodo chiamato Medio Evo.
Da allora in poi fu un susseguirsi di nuove idee, invenzioni, scoperte in ogni branca del sapere. Nasceva lentamente in Italia, intorno al decimo secolo, quel nuovo mondo che, diffondendosi in tutta l'Europa, prese il nome di Rinascimento.
Poco possiamo dire dell'estremo oriente e dell'Asia intera: regioni sconfinate, sempre in lotta fra tribù piccole e grandi, segnata dai vaghi ricordi storici giunti
Platone
soprattutto per via orale, grazie alle immense conquiste realizzate dai grandi condottieri fra i quali risaltano i nomi di Attila, Gengis Khan, Tamerlano.
Pochi spazi, se vogliamo ripercorrere la storia del pianeta, sembrano rimasti vuoti da guerre; sono quelli più poveri, isolati dalle grandi vie di comunicazione e miti per la loro educazione e per la religione.
La povertà induce alla solidarietà e si è notato questo particolare in quasi tutti i continenti.
L’ambiente, ancora l'ambiente si fa notare su tutto il globo per il comportamento diverso delle varie popolazioni; i climi estremi non hanno mai causato feroci guerre o elevate culture le sterminate foreste, i fiumi che sembrano oceani per la loro grandezza e per le mangrovie che li costeggiano e nelle quali la biodiversità regna sovrana con un'infinità di specie sconosciute. Che a loro volta rinchiudono mondi sconosciuti.
Ed ancora le zone artiche gelide e difficili per la nutrizione, tuttavia miti ed accoglienti perfino con gli sconosciuti; le famiglie erano quasi isolate fra di loro, separate da distanze incalcolabili.
Ed ecco la biodiversità, della quale pochissimi conoscono il valore ed il significato. Si è così potuto avvertire, quasi fosse un lunghissimo documentario, come il cosiddetto "progresso" si sia mosso, per vie verticali, legato fortemente al clima, e come quest'ultimo abbia condotto a risultati diversi in paesi vicini e lontani. Senza bisogno di ricorrere all'idea di razza. Questa, dal punto di vista antropologico, non esiste: il colore della pelle, quello degli occhi, dei capelli, la loro forma, l'altezza del corpo, il linguaggio ed altre differenze. Ma non altro.
E tutti coloro che abitano il pianeta appartengono alla medesima specie: Homo sapiens.
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